Avevo proprio voglia di buttare giù "due righe" per raccontare quello che è stato il mio mondiale dei 100 km a Torhout in Belgio, lo scorso 19 giugno.
Vorrei però prendere questo racconto un po' alla larga, descrivendo cioè, quella che è stata in sintesi la mia preparazione.
Preparazione alquanto problematica a causa di fastidiosi e lunghi infortuni che mi hanno colpito dalla fine di gennaio in poi.
L'ultima settimana di gennaio ho avuto un forte risentimento all'attaccatura del tendine comune degli ischiocrurali che avevo già lesionato due anni fa; dove c'è la piccola calcificazione che si è formata, spesso, soprattutto quando fa molto freddo e umido, il dolore diventa piuttosto forte, tanto da impedirmi di allenarmi.
Recuperato quell'infortunio dopo una settimana di completo stop, mi sono rituffato negli allenamenti; le prime gare che avevo in programma in questa stagione (Strasimeno e maratona di Treviso) erano alle porte ed io volevo esserci ed essere anche competitivo.
Come spesso mi capita ho accelerato troppo i tempi di recupero iniziando subito a fare parecchi chilometri.
Risultato? Dopo 4 settimane, alla vigilia della Strasimeno, dopo aver corso una media 170-180 km mi sono "rotto" di nuovo e questa volta in modo decisamente più serio.
Tendinite all'Achilleo dx, diceva l'ecografia; addio Strasimeno e addio Treviso.
Per quell'infortunio sono stato fermo quasi un mese e mezzo riprendendo ad allenarmi solo poco prima di Pasqua.
E' stato un periodo bruttissimo, soprattutto i primi giorni, ero incavolato nero e anche un po' depresso.
Pensavo al mondiale di giugno, al fatto che non ci sarei arrivato pronto o che non ci sarei arrivato affatto.
Mi vergognavo di sentirmi così giù! In fondo avevo solo una tendinite che con il riposo sarebbe prima o poi passata: "Le vere sofferenze sono altre!", mi ripetevo, ma il mio umore non migliorava di certo.
Poi qualcosa nella mia testa è scattato; ho iniziato a non pensare più all'infortunio, al mondiale e alle gare ma solo a come fare per guarire il più velocemente possibile e a farmi trovare in buona condizione nel momento in cui avessi potuto riprendere a correre.
Ho iniziato quindi tutta una serie di terapie con tecar, laser, osteopata, argilla, arnica omeopatica, ghiaccio....
Tutto il poco tempo libero che avevo lo passavo a curarmi meglio che potevo (vi lascio immaginare quanto ho speso!).
Mi sono allenato tutti i giorni per 3 ore con bici da spinning, nuoto, pesi, stretching e lavori propriocettivi per rinforzare le caviglie.
Iniziavo a sentirmi meglio soprattutto mentalmente e ogni tanto ci buttavo dentro anche un po' di tapis roulant (per non più di 10') per testare il tendine che mi faceva male.
Nella seconda settimana di aprile sono riuscito finalmente a fare i primi chilometri su strada senza avvertire dolore.
Per una settimana ho corso poco (8-10 km al giorno) a ritmi molto blandi (4'15"-4'20" al km) ma senza avvertire dolore, sembrava che la cosa si stesse definitivamente risolvendo.
Onestamente in quel periodo avevo cambiato completamente i miei programmi agonistici.
Avevo deciso di rinunciare al mondiale perchè non avevo il tempo materiale per prepararlo come meritava di essere preparato, e di questo ne avevo già parlato con i tecnici della IUTA, ai quali avevo però anche detto che, se non portavo via il posto a qualcuno, sarei andato comunque in Belgio, come riserva per correre 40-50 km e aiutare, facendo da lepre, i miei compagni di nazionale.
Abbiamo poi deciso di attendere qualche settimana per vedere come fossero ripartiti i miei allenamenti.
Allenamenti che sono iniziati per me in modo inaspettato: facevo si fatica, i ritmi non erano ovviamente eccezionali, le frequenze cardiache erano alte ma..... molto, molto meglio di quello che mi aspettassi.
Ogni giorno che passava mi sentivo sempre meglio, i ritmi diventavano sempre più brillanti e la fatica diminuiva.
Il 01 maggio ho corso la mia prima gara della stagione: "l'Ora di Martellago", organizzata dal mio gruppo podistico il Brema Running Team.
Ho corso quell'ora a 3'31,5" di media arrivando secondo a pari merito con il mio compagno di club Ferruccio.
Quella gara è stata la svolta che mi ha dato fiducia; due giorni dopo ho affrontato il primo lungo da 60 km corso a 4'07" di media, finendo distrutto ma consapevole che forse, poter sperare di partire per il mondiale con la speranza di poterlo anche finire, non era più un'utopia.
Da lì sono seguiti altri lunghissimi: 2 da 40 km (di cui uno corso da mezzanotte alle 02:40), 2 da 60 km (l'ultimo corso dalle 19:30 alle 23:30), due maratone (Sommacampagna e Jesolo) e tanti altri lavori che mi hanno portato a correre una media di 175 km a settimana con un paio di punte a 200 km.
Iniziavo anche a pensare che, oltre a finirlo, forse, potevo addirittura scendere sotto le 07 ore e dare un valido contributo anche per la classifica a squadre.
La riprova che la condizione era buona l'ho avuta una settimana prima del mondiale, quando ho corso una gara di 10 km "abbondanti" a Mestre ad una media di 3'15" al km (da Garmin...).
Non ci volevo credere! Mai avevo corso a quei ritmi per più di un paio di km; forse, ho pensato, era la testimonianza che stavo davvero bene.
Fin qui il prima del mondiale; ci tenevo a raccontarlo perchè è stato un avvicinamento "tribolato" che lo ha comunque segnato, sia nel bene che nel male.
I due giorni precedenti la gara sono stati stupendi.
Lo stare insieme ai miei compagni di nazionali, alle persone che ci hanno accompagnato, ai tecnici e dirigenti, è stata un'esperienza umana incredibile.
In stanza eravamo in 5 (io, Andrea Rigo, Francesco Caroni, Pio Malfatti e Silvio Bertone); eravamo praticamente uno sopra l'altro in spazi ridotti ma nessuno si lamentava, anzi! Ci bastava essere lì, insieme, a raccontare delle nostre sensazioni ed emozioni, a farci coraggio e a consigliarci.
Avevo una sensazione strana: ero tranquillissimo! Non mi era mai capitato di essere così sereno prima di un mondiale; dormivo in continuazione, stavo bene, nessun fastidio, nessuna agitazione.
Ho cercato di analizzare il perchè di questa cosa: probabilmente il fatto di essere un miracolato ad essere lì mi aveva portato ad accettare qualsiasi cosa avessi raccolto durante la gara, anche un tempo alto; l'unica cosa che rifiutavo era un nuovo ritiro ma sapevo anche che, tutto quello che potevo fare nei due mesi in cui mi ero allenato, lo avevo fatto e molto bene.
Per una volta non avevo aspettative, avevo solo un quadro tattico chiaro: partire a 4' al km e tenere quel ritmo almeno per 60 km, se poi avessi corso gli ultimi 40 km a 4'30", avrei comunque finito in meno di 7 ore.
La mia serenità era data anche da altri fattori, ma questi sono troppo intimi per essere raccontati.
Alle 20.00 di venerdì 19 giugno, in un casino incredibile, siamo partiti per questa nuova avventura.
Il primo km, l'ho un po' "sgasato" (come dice Armuzzi): 3'43"!
Ho corso dietro a Calcaterra per capire a che ritmo intendeva impostare la corsa e l'ho capito subito: troppo veloce per me!
C'è chi ha sgasato ancora di più: il coniatore di questo termine, Antonio Armuzzi che, se noi abbiamo corso il primo mille a 3'43", lui l'ha corso di certo vicino ai 3'20" dato che già facevo fatica a vederlo.
Poco dopo mi raggiunge Francesco Caroni insieme ad altri 4 o 5 atleti, tra cui lo scedese Buud che poi arriverà secondo.
Dopo 3 km in testa c'è Armuzzi, seguito da Oralek (il vincitore della 50 km di Romagna dello scorso anno), un gruppettino con Calcaterra, i due giapponesi, lo spagnolo Jimenez (3° al mondiale di Tarquinia), un brasiliano, un polacco, un canadese e, poche decine di metri dietro, io e Francesco con lo svedese.
Vediamo che davanti rallentano e pensiamo di allungare un po' per ricongiungerci a Giorgio soprattutto perchè, così facendo, avremmo corso più riparati dal vento che in quel momento soffiava piuttoso forte.
Corriamo quel chilometro a 3'50" e ci accodiamo; è una corsa un po' nervosa, si prosegue a strappi, lo spagnolo e i due giapponesi sono i più "intraprendenti" ma anche Giorgio ogni tanto aumenta; io e Francesco siamo sempre nella pancia del gruppetto e subiamo un po' le accelerazioni.
Giorgio mi dice che non sta tanto bene, che ha problemi di stomaco e che avrebbe bisogno di fermarsi per .....are!
Dopo circa 10 km c'è un'accelerazione di Giorgio che rompe il gruppetto, io e Francesco rimaniamo dietro insieme allo svedese e ci assestiamo ad un ritmo di 3'56"-3'57" al km.
Davanti il ritmo cala di nuovo, li abbiamo sempre lì a 70-80 metri.
Lo svedese sta sempre in scia e non da un cambio, io sento la necessità di fermarmi per fare pipì.
Mi ricordo della necessità che aveva anche Giorgio, decido di allungare sia per guadagnare quei secondi che avrei perso fermandomi, che per raggiungere il gruppetto di Calcaterra.
Avviso Francesco di non seguirmi perchè poi mi sarei fermato dopo un chilometro.
Accelero, corro quel chilometro a 3'42", raggiungo quelli davanti e dico a Giorgio: "Appena trovo un posto dove non c'è gente mi fermo per fare pipì, se hai ancora bisogno di fermarti fallo anche tu che poi rientriamo insieme!"
Lui è d'accordo e dopo aver allungato ancora un po' ci fermiamo dietro ad una muretta; lì non c'era nessuno, c'era solo una troupe televisiva che ha ripreso la scena con noi a pantaloncini abbassati a liberare stomaco e vescica.
Che vergogna!
Fatto quello che dovevamo fare, ci raggiunge anche Francesco insieme al solito svedese; quelli davanti ci hanno preso subito 100 metri.
Iniziamo l'inseguimento e per un paio di chilometri rimaniamo insieme, poi Giorgio ha nuovamente allungato dato che il ritmo che stavamo tenendo (3'55" al km) era troppo stretto per lui.
In poche centinaia di metri raggiunge il gruppo davanti dove intanto era scoppiata la bagarre quando hanno visto Calcaterra fermo.
Io rimango con Caroni e Buud.
Purtroppo Francesco, anche lui alle prese con problemi di stomaco ha dovuto mollare il ritmo e mi ritrovo da solo con lo svedese che inizia invece a incrementare.
Dopo poco più di 20 km mi ritrovo solo! E lì penso sia iniziata la mia vera corsa.
Non avevo paura di correre solo dato che corro sempre da solo in allenamento.
La mia concentrazione era posta sul correre a 4'00" al km senza fare fatica, nel modo più sciolto possibile.
E così ho fatto! Stavo bene, ero sereno, le gambe giravano, vedevo sempre in lontananza sia lo svedese, sia il polacco che lo spagnolo.
Verso il 35° km supero il polacco fermo per un pit stop, in quel momento ero 9°, avevo davanti Armuzzi, Oralek, i due giapponesi, il brasiliano, Calcaterra, Jimenez e Buud.
Pensavo alla classifica a squadre; se Armuzzi e Calcaterra tenevano fino alla fine, l'oro mondiale era assicurato sempre che io fossi arrivato alla fine in quella posizione.
Arriva il passaggio alla maratona: 02h48'02"!
Perfetto! Il tempo che speravo! Anche se, ad essere sincero, c'era qualcosa che non mi quadrava dato che il Garmin mi dava ogni 5000 metri segnati dall'organizzazione, 60-70 metri in più.
Alla fine il GPS ha segnato la gara lunga 101 km e 130 metri (e non solo a me ma a tutti quelli che avevano il satellitare).
Verso il 45° km, trovo fermo a "scaricare" anche lo spagnolo Jimenez.
Ora sono 8°, passo al 50° km in 03h19'30" ed intanto inizia ad essere buio pesto.
Il percorso non è perfettamente illuminato, soprattutto in aperta campagna.
Correre al buio non mi piace più di tanto, non ci sono abituato dato che mi alleno sempre verso l'ora di pranzo, non ho la percezione del ritmo, mi sembra di andare forte ed invece vado piano.
In quel momento pensavo solo ad arrivare al 60° km in 4 ore spaccate per poi iniziare un'altra gara, quella più mentale, quella dove vai avanti soprattutto con la forza della testa, quella dove sei disposto a sopportare anche i dolori alle gambe più forti ed i primi accenni di crampi.
Già! I crampi, avevo un terrore pazzesco che mi si ripresentassero, non avevo mai finito una 100 km senza soffrirne; mi avevano sempre condizionato in negativo anche quando le cose erano andate bene.
Al momento non ne soffrivo, mi ascoltavo in continuazione, cercavo di percepire ogni segnale che il corpo mi inviava.
Erano ancora segnali positivi.
Ad un certo punto vedo una maglia italiana poco davanti a me: è Giorgio.
Lo raggiungo velocemente, è in forte difficoltà, si trascina, gli chiedo se ce la fa ad accodarsi a me per proseguire insieme, non mi risponde o per lo meno non capisco la sua risposta, facciamo 100 metri insieme e poi desiste.
"Speriamo riesca ad arrivare alla fine, è ancora lunga per iniziare a soffrire così!".
Questo è stato il mio primo pensiero, poi rifletto sul fatto che forse stava pagnado il Passatore o che i problemi intestinali che aveva, lo avevano svuotato di energie.
A quel punto sono 7° anche se, poco dopo, al ristoro dove c'era Andrea Rigo mi dicono che sono 5°.
Quinto? Come faccio ad essere 5°? Me ne sono persi due per strada? In effetti uno lo avevo perso per strada, Armuzzi! L'ho superato e non me ne sono nemmeno accorto.
Antonio poi si fermerà per una contrattura al gluteo.
Antonio poi si fermerà per una contrattura al gluteo.
L'altro, che io contavo ma che lo staff azzurro non considerava, era il brasiliano che era iscritto alla gara open e non faceva quindi classifica (salterà per aria anche lui poco più avanti).
Dopo 5 km supero anche Oralek in forte difficoltà, ora sono 4° e sono sul podio europeo (sarei stato argento).
Il passaggio al 60° km è di 03h59'48": ottimo!
Esattamente come volevo, arrivare a quel punto della gara in quelle condizioni, con quel tempo anche se non mi immaginavo così avanti in classifica.
Pensavo di diminuire la velocità ed invece il Garmin mi segnava ancora 3'58", 4'00", 4'02", 3'59", stavo continuando sul ritmo di prima.
I chilometri passavano velocemente, la fatica però cresceva, le gambe si indurivano.
La vera energia la trovavo nei punti di ristoro dove c'era lo staff azzurro; in due di questi ho visto fermi Francesco, Pio e Diego e la cosa mi è dispiaciuta tantissimo.
Nel punto di ristoro più lontano dal traguardo c'era un grandissimo che mi dava tutti i distacchi, che mi correva dietro fin dove poteva e mi incoraggiava: Mario Ardemagni, uno che il mondiale l'ha vinto nel 2004 con un tempo fantascientifico (06h18').
Nei ristori mi avvisavano che anche Monica stava andando bene nonostante l'infortunio che le era occorso la settimana prima del mondiale.
Anche doppiare le mie compagne di nazionale mi dava energia perchè ad ogni sorpasso seguiva un saluto ed un "Forza Marco, dai...".
Al 74° km, al ristoro dove i nostri erano in maggior numero, Andrea Rigo (un grazie sincero anche a lui) mi dice:"Marco, guarda che vinci, davanti stanno mollando, sei a 1'20" dal primo, hai recuperato 20 secondi!".
Mi carico, incomincio a crederci, vedo da distante i lampeggianti delle staffette che seguono i primi; provo a spingere ma mi dico che non devo esagerare, che mancano ancora 25 km, che i crampi sono lì in agguato e che, se mai, devono essere loro a cedere più che io ad incrementare, perchè sennò avrei potuto pagarla cara.
Fatto stà che davanti non hanno ceduto a parte uno dei due giapponesi (quello sulla carta più forte), che supero subito dopo aver passato la linea che delimitava l'ultimo giro.
All'83 km mi ritrovo 3° al mondiale e 2° all'europeo.
Il ritmo sta un po' calando, corro più verso i 4'10" che non verso i 4'00" ma penso che a quel punto della gara è comunque un bell'andare anche perchè, pur correndo su quei ritmi il tempo finale sarebbe stato decisamente buono, anche sotto il mio personale.
Mi tolgo dalla testa di riprendere quelli davanti, non hanno cenni di flessione ed il mio distacco da loro, anche se di poco aumenta.
Mi accontento! Devo solo resistere alla stanchezza e controllare fatica e piccolissimi, impercettibili accenni di crampi.
Passo il ristoro di Ardemagni all'89° km, quelli davanti li ho a 2'30", mi dicono che Giorgio sta correndo bene ed è a 5' da me.
"Non devo mollare!" mi dico. Dovrei anche fermarmi a fare pipì ma me la tengo stretta per la paura di perdere troppi secondi.
Se corro a 4'10"-4'15" al km, per recuperarmi 5' Calcaterra deve andare a 3'40"-3'45"; onestamente non pensavo fosse possibile anche se da lui c'è da aspettarsi di tutto.
Passo al ristoro di Rigo al 93° km, gli faccio cenno che le gambe ora sono belle rigide e che non posso permettermi di correre più velocemente di 4'10" al km.
Passo il 95° km, oramai ci siamo, penso che salirò sul podio al mondiale e che sto correndo abbondantemente sotto le 06h50'.
Mentre facevo questi pensieri, un treno mi travolge, un treno di nome Calcaterra.
Al 96° km sento un rumore di passi che da dietro si avvicinavano ad una velocità impressionante:"Sarà un tifoso che vorrà incoraggiarmi!" penso ingenuamente.
Non faccio nemmeno in tempo a girarmi che mi vedo SFRECCIARE davanti Calcaterra ad una velocità impressionante, sembrava una MOTO.
Io correvo all'incirca tra i 4'10"-4'12" al km che, al 96° km di una 100 km, è un bell'andare ma davanti a lui ero praticamente fermo.
Spaventoso! A spanne era tranquillamente sotto i 3'30" ed anche di un bel po'!
E' stata una mazzata pazzesca! Mi sono visto sfilare via il bronzo e lì per lì ci sono rimasto decisamente male!
Poi ho iniziato a ragionare che era meglio che a superarmi fosse un italiano piuttosto che un russo e che comunque a battermi era il campione del mondo in carica, quello che, senza problemi intestinali, avrebbe vinto il mondiale con una gamba sola, che mettere il mio nome in classifica subito dietro a quello di Giorgio era comunque un onore, che grazie a quella rimonta avremmo potuto giocarci qualcosa di grosso nella classifica a squadre e che comunque sul podio ci andavo lo stesso anche se "solo" come bronzo al campionato europeo.
Vedendolo correre così forte ho anche pensato che potesse persino vincere e riprendere quelli davanti.
Vedendolo correre così forte ho anche pensato che potesse persino vincere e riprendere quelli davanti.
Abbandonati i pensieri negativi, mi sono concentrato solo sulla mia corsa e sugli ultimi chilometri che mancavano; al ristoro del 98° km Andrea mi dice che comunque avevo fatto una cosa eccezionale e che ormai era fatta.
Si! A quel punto nessuno poteva più superarmi ed il tempo finale era vicino alle 06h45'.
Non spingo più anche perchè le gambe mi facevano piuttosto male, volevo godermi l'ultimo km e l'ingresso nella piazza strapiena di gente mezza ubriaca.
Ho visto l'arrivo, il cronometro che segnava 06h45'35", 36", 37", e per un attimo ho visto Tarquinia, ho visto i miei genitori che erano rimasti a casa, tutte le persone che ci hanno seguito in Belgio e che sono state eccezionali nei ristori per non farci mancare niente e a sostenerci, e ho visto anche un'altra persona che è stata per me fondamentale perchè ottenessi quel risultato
Ho lavorato di fantasia per gli ultimi 50 metri.... I più belli della mia carriera podistica.
Passata la linea ho iniziato a capire cosa davvero avevo fatto! Forse tutt'oggi non me rendo ancora conto completamente.
Penso a come, 5 anni fa, mi sono avvicinato per caso alle 100 km, a come, fino al 2004, avessi più giocato a tennis che corso a piedi e a come la maglia azzura fosse per me una specie di utopia.
Quando l'ho raggiunta per me è stato fantastico, il massimo che potessi ottenere.
E poi...... E poi mi ritrovo quarto al mondo e bronzo europeo con un tempo che faccio ancora fatica a credere: 06h45'38"! Inimmaginabile!
Ed infine la cosa che più sognavo: salire sul podio più alto e sentire l'inno di Mameli (abbiamo vinto il titolo europeo a squadre, secondi al mondiale).
Anche a Tarquinia era successo ma non certo per merito mio ma dei miei fantastici compagni di squadra.
Anche a Tarquinia era successo ma non certo per merito mio ma dei miei fantastici compagni di squadra.
Quell'inno cantato l'ho sentito finalmente anche mio, meritato ed è stata un'emozione che non si può spiegare ma solo vivere.
Di quest'avventura mi rimane un bellissimo ricordo e tanta, tanta nostalgia per 5 giorni fantastici condivisi con persone uniche.
Mi rimane anche la voglia di riprovarci l'anno prossimo con la speranza di rivivere le stesse emozioni e soddisfazioni provate quest'anno.
E mi rimane questo racconto, questo viaggio, che ogni tanto mi rileggerò; in fondo questo è un diario e i diari servono proprio a questo, a ricordare e ad emozionarsi ancora.